24/06/08

 

Intervento del presidente Olivero

Pubblichiamo un intervento del presidente Olivero sulla recente Direttiva Europea sul lavoro. Una occasione di riflessione per tutti i nostri lettori.

Si profila una Direttiva Ue che stravolgerà l'idea stessa di lavoratore

Sono 168 le ore che noi tutti abbiamo a disposizione ogni settimana. Circa la metà di queste le trascorriamo dormendo o dedicandoci a funzioni vitali fondamentali, in particolare nutrendoci. Circa due ore al giorno – in media, si intende – le passiamo nel recarci al lavoro e nel ritornare a casa la sera, spesso nel caos delle metropoli. Ci rimangono 74 ore settimanali a disposizione: se togliamo il giorno festivo, che per ora nessuno intende rimuovere, ma soltanto diversificare ad personam, ci rimangono 62 ore per il lavoro, la famiglia, la formazione, lo svago.

Di fronte a questo scenario si pone il recentissimo accordo tra i ministri europei per una Direttiva che spinge assai avanti la flessibilità, stabilendo che la durata massima della settimana lavorativa, che in teoria rimane fissata a 48 ore, può essere elevata a 60 ore tutte le volte che il lavoratore, singolarmente, senza neppure che occorra alcuna autorizzazione da parte del sindacato, sia disposto a concordare un orario superiore con il proprio datore di lavoro. La possibile estensione sino a 60 ore riguarda la generalità dei casi, con alcune eccezioni verso l'alto (65 ore settimanali) per alcune categorie di lavoratori, tra cui i medici. Le 35 ore consecutive minime di riposo, inoltre, saranno calcolate su due settimane, non più su una sola.

Naturalmente qualcuno – tra cui Confindustria – ha accolto con grande favore questa proposta, che mostra un'Europa attenta alla produttività e che, oltretutto, annulla le sanzioni più gravi per le imprese che violano le norme sul tempo lavorativo.

Chi credeva che il lavoro del XXI secolo si sarebbe caratterizzato per l'alta tecnologizzazione, per il telelavoro o per la qualità della prestazione piuttosto che per la quantità dovrà ricredersi. Ciò che conta è la produttività, in tutti i modi e a tutti i costi. Naturalmente tutto è lasciato alla libertà del lavoratore, ma è difficile credere a questa storiella, se l'alternativa è la delocalizzazione in Romania della ditta in cui si lavora o la fatica ad arrivare a fine mese con bollette alle stelle e salari da fame.

In ballo, a ben vedere, c'è ben di più che una questione contrattuale o una norma novecentesca da superare: è l'idea stessa di lavoratore che è messa in gioco. Annullando ogni rispetto dovuto ai tempi della vita personale e familiare del lavoratore si scardina, infatti, il principio che è «la persona il metro della dignità del lavoro», come ha ricordato alle Acli papa Benedetto.

Non c'è produttività che tenga, se la vita umana e i suoi valori non sono il principio ed il fine dell'economia. Ed è difficile pensare che una persona dopo dodici ore di lavoro possa vivere dignitosamente: è messa a repentaglio la sua sicurezza – molti incidenti insorgono per la stanchezza dei lavoratori – e grande fatica si manifesta nella sfera affettiva e familiare.

Il Parlamento europeo ci rifletta: è questa l'Europa che vogliamo, capace di disegnare un nuovo modello di sviluppo per l'Occidente?

 


 

Andrea Olivero


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